La crisi petrolio africano frena la crescita europea

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Instabilità politica, legislazione obsoleta e cronico sotto-investimento nelle infrastrutture hanno determinato un drastico calo della produzione petrolifera dei Paesi africani e rafforzato il primato americano nel mercato globale dell’energia, alimentato anche dalla rivoluzione dello shale oil. Risultato: i prezzi del petrolio restano alti, alimentano l’inflazione e rallentano la crescita economica nelle regioni che dipendono dalle importazioni di energia, a cominciare dall’Europa

Le nazioni africane produttrici di petrolio, un tempo centrali per la fornitura energetica globale, hanno registrato un drastico calo delle esportazioni. L’attività estrattiva di Paesi come Nigeria, Angola e Libia, storicamente fornitori significativi, sta risentendo della combinazione tra instabilità politica, legislazione obsoleta e cronico sotto-investimento nelle infrastrutture. La Nigeria, per esempio, è crollata dai circa 2,5 milioni di barili al giorno del 2010 agli 1,5 del 2023​.

Questo declino è aggravato da dinamiche esterne. La rivoluzione negli Stati Uniti dello shale oil (petrolio non convenzionale prodotto dai frammenti di rocce di scisto bituminoso) ha drasticamente ridotto le importazioni americane di greggio africano e ha portato già nel 2018 gli Stati Uniti a diventare il principale produttore mondiale di petrolio​. Intanto l’Unione Europea, una delle principali destinazioni del petrolio africano, sta spingendo aggressivamente verso la decarbonizzazione, con l’obiettivo di ridurre drasticamente il consumo di petrolio nel prossimo decennio. La Cina, altro mercato chiave, ha ridotto del 28% le importazioni di petrolio africano tra il 2018 e il 2023, preferendo importare dai Paesi OPEC+ non africani, tra i quali la Russia​.

Il caso emblematico della Libia

Esempio emblematico di questa situazione è la Libia, che possiede le maggiori riserve di petrolio in Africa. La devastazione del Paese seguita alla caduta di Muammar Gheddafi (2011) e la divisione tra il governo di Tripoli riconosciuto dalle Nazioni Unite e le aree orientali guidate controllate dal generale Khalifa Haftar, si è tradotta in frequenti blocchi dell’attività estrattiva e dei porti​.

Le recenti tensioni politiche hanno aggravato la situazione: le esportazioni dai terminali chiave come Es Sider e Ras Lanuf sono state sospese portando la produzione a nuovi minimi e aggravando la carenza dell’offerta globale,​ che non solo destabilizza il mercato petrolifero, ma porta anche a maggiori pressioni inflazionistiche, in particolare in Europa, che dipende fortemente dall’energia importata​​.

Le esportazioni di Petrolio dalla Libia sono infatti cruciali per i mercati globali e ogni interruzione ha immediate ripercussioni sui prezzi, come si è visto anche in questo periodo​. Il conflitto in corso, inoltre, ha frenato gli investimenti delle compagnie petrolifere internazionali (TotalEnergies, Eni, Royal Dutch Shell) che giudicano i rischi troppo elevati pur in presenza di rendimenti potenzialmente elevati significativi.

L’impatto della rivoluzione dello shale oil

La richiamata rivoluzione dello shale oil ha significativamente ridotto la dipendenza degli Stati Uniti dal greggio africano alterando la mappa del mercato:​ la produzione degli Stati Uniti è aumentata al punto da coprire interamente i bisogni interni del Paese rendendolo un esportatore chiave, in particolare verso l’Europa, fatto particolarmente significativo in una fase che vede l’Europa impegnata a ridurre la dipendenza energetica dalla Russia​. Il predominio americano nel mercato petrolifero globale è sostenuto dalla robusta infrastruttura finanziaria. Il ruolo del dollaro come principale valuta di riserva mondiale, unito alla liquidità e alla stabilità del mercato finanziario, rendono gli Stati Uniti un partner più desiderabile per gli importatori di petrolio.​

Le conseguenze macroeconomiche

Lo scenario delineato ha conseguenze di vasta portata. I bilanci delle nazioni africane, già gravate da alti livelli di debito, devono ora sopportare anche la riduzione delle entrate dalle vendite di petrolio,​ un problema che si fa sentire particolarmente in Paesi come Nigeria e Angola, dove l’economia dipende fortemente dal petrolio.

La riduzione dell’offerta africano contribuisce a mantenere alti i prezzi globali, il che alimenta pressioni inflazionistiche, specialmente nelle regioni, come l’Europa meridionale, che dipendono dagli acquisti di energia​. I prezzi elevati stanno aggravando la crisi del costo della vita in molti Paesi europei, già colpiti dagli impatti della pandemia e dalla guerra in Ucraina​.

I problemi dei Paesi africani stanno inoltre complicando la loro capacità di finanziare le transizioni verso economie a basse emissioni. La Banca Africana di Sviluppo ha stimato che, rispetto alle risorse necessarie per conseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile stabiliti dalle Nazioni Unite​, il continente avrà, fino al 2030, un deficit di finanziamento annuale di 400 miliardi di dollari. Senza sufficienti entrate petrolifere, i Paesi africani potrebbero trovare sempre più difficile finanziare gli investimenti necessari per la transizione energetica.

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Cordiali saluti,

Federico Polese