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Il sorprendente rally dell’S&P 500 iniziato a novembre dello scorso anno è stato innescato da decisioni di natura monetaria e fattori di mercato specifici. Di seguito poniamo l’accento sull’effetto delle riduzioni dei tassi d’interesse e su come vari fattori, inclusi prodotti finanziari innovativi e l’ingresso degli ETF sul bitcoin, abbiano influenzato i prezzi delle azioni. Nonostante le valutazioni elevate, esiste un potenziale per la continuazione del rally, sebbene con una volatilità prevista maggiore nel prossimo trimestre. La situazione attuale richiama alcuni aspetti del rally del 1995, pur con differenze chiave.
Il prolungato rally dell’S&P 500, iniziato a novembre scorso ha sorpreso molti tra gli investitori professionali. L’attesa di un “atterraggio duro” per l’economia americana aveva fatto si che a fine ottobre le posizioni nette “short” accumulate dagli hedge fund raggiungessero un livello record (7% ), le decisioni del Tesoro americano che vedremo di seguito, hanno scatenato una ricopertura di queste posizioni per aprirne di nuove long (5% in media alla fine 2023) innescando un recupero degli indici sorprendentemente robusto. Questo movimento ha superato ogni più ottimistica previsione (compresa quella di chi scrive).
Più che in cambiamenti sostanziali dei fondamentali delle aziende o degli indicatori macroeconomici, il rally ha radici negli annunci e nelle decisioni di politica monetaria: in novembre, la scelta del Tesoro di ridurre le emissioni a lungo termine, che ha determinato un calo del tasso risk-free e favorito un rialzo delle valutazioni a parità di fondamentali; di recente, gli annunci della Fed su tre possibili riduzioni dei tassi nel 2024, nonostante l’inflazione persistente e una crescita economica sostenuta. Quest’ultimo orientamento si sospetta però sia anche motivato dalla necessità di soccorrere settori, come per esempio l’immobiliare commerciale, che potrebbero vacillare di fronte a una prospettiva di tassi elevati per un periodo prolungato.
Dato questo scenario, è necessario interrogarsi su come posizionarsi nei prossimi mesi. È possibile che il 2024 possa replicare il 1995, anno in cui il mercato registrò una crescita costante senza significativi ritracciamenti, ma va tenuto conto che la storia si ripete in rima e solo alcuni dei cinque fattori che trainarono il rally del 1995 (descritti nella nota) sembrano essere presenti oggi e alcuni potrebbero essere gia scontati nei prezzi dopo un rally cosi sostanziale.
Il momentum residuo del mercato, analizzato attraverso il sistema De Mark, che individua l’esaurirsi del momentum, segnalata da un “9” o un “13” (9 e 13 indicano nel sistema statistico di De Mark il raggiungimento di punti in cui il compratore marginale potrebbe venire meno), indica una possibile prosecuzione del trend (segnalato da un doppio 3, trend che pero non riceve conferma fino al raggiungimento di un nuovo 9), benché gli indici di volatilità implicita, come il VIX (e analoghi in Europa), difficilmente potranno comprimersi ulteriormente (assicuranto un trend senza sobbalzi).
Grafico giornaliero S&P500: il trend potrebbe continuare
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Volendo proseguire l’osservazione del mercato dal punto di vista statistico, va tenuto presente che l’imminenza di un anno elettorale negli Stati Uniti crea le condizioni per una crescita a partire da luglio, quindi il secondo trimestre dell’anno potrebbe essere primo di particolari eventi positivi.
Passando a un’analisi più dettagliata e quantitativa, è fondamentale evidenziare che le valutazioni prospettiche dell’S&P 500 tendono più verso il picco storico di 22,34 volte gli utili rispetto alla media di 16,78. Il multiplo degli utili prospettici è infatti 21 in questo momento. Anche se rappresenta un fattore di rischio, storicamente si è notato che i compratori marginali di azioni a prezzo elevato raramente cambiano la loro strategia, specialmente quando si prospettano scenari di crescita economica e di riduzione dei tassi d’interesse. Di conseguenza, non crediamo che valutazioni elevate impediscano nuovi acquisti
Rapporto tra utili e prezzi dell’S&P500
Un modo per contestualizzare il rapporto prezzo/utili (PE) è considerare il suo inverso, l’earning yield e paragonarlo con il tasso rendimento di un titolo risk free con il Treasury. Se questi due rendimenti si avvicinano troppo, il Treasury diventa un “concorrente” dell’azionario con rischio molto meno pronunciato. Attualmente, il rendimento dei Treasury è un formidabile concorrente dell’earnings yield dell’S&P 500. Perché l’earning yield dell’S&P500 è 3.9% mentre il rendimento del Treasury a 10 anni è 4.2% (livello simile anche al Treasury a 5 anni).
Ora, mentre si potrebbe obiettare che entrambe le misure possono variare e non essere una buona misura delle prospettive future, bisogna oggettivamente osservare che il prezzo dell’azionario ha già spinto l’earning yield quasi a livelli molto bassi che storicamente sono stato difficili da sorpassare e al momento sono inferiori al rendimento del Treasury.
Una serie di fattori si sono sommati e sono risultati in un questo “schiacciamento” estremo dell’earning yield. Tra questi ne vanno considerati altri due oltre alle scelte di origine monetaria che abbiamo visto. Il primo è che negli ultimi mesi un nuovo prodotto, le opzioni a scadenza giornaliera (0DTE) sono state messe a disposizione degli investitore retail. Queste sono estremamente accessibili dato il basso costo e permettono di effettuare scommesse al rialzo senza correre particolari rischi aldilà della perdita del premio (le piattaforme di investimento ovviamente non permettono di vendere put che teoricamente potrebbero generare perdite infinite). Il proliferare di opzioni call a breve scadenza può essere paragonato a dei “gratta e vinci” se utilizzate individualmente e non in modo sistematico. Nel complesso pero il successo di questo strumento è stato tale da aver generato enormi volumi di call options sul mercato che innestano la necessita per il dealer che le vende di “coprirsi” acquistando il titolo sottostante e innescando cosi una sorta di circolo virtuoso di crescita dei prezzi. Questo ovviamente non può continuare all’infinito.
Il secondo fattore è l’approvazione degli ETF sul bitcoin. Questo prodotto ha da un lato finalmente messo a disposizione del piccolo investitore la possibilità di negoziare una frazione di bitcoin dall’altro permette di assumere ulteriore rischio nel proprio portafoglio.
Concludendo, nonostante le valutazioni siano tese e l’earnings yield stia puntando ai minimi storici (pur essendone comunque lontano), alcuni fattori potrebbero sostenere il rally dell’S&P 500. Le decisioni vanno prese anche considerato che, come abbiamo visto, la volatilità, almeno nel prossimo trimestre, potrebbe essere più elevata.
I fattori che alimentarono il rally del 1995
1. Politica monetaria accomodante. La Federal Reserve ha mantenuto tassi d’interesse bassi nel 1995, favorendo l’accesso al credito e stimolando gli investimenti (aziendali e personali). Questo ha sostenuto la crescita economica e rafforzato la fiducia degli investitori.
2. Ripresa economica robusta. Il 1995 si è situato nella fase di espansione del ciclo economico degli anni ’90, caratterizzato da forte crescita del PIL, bassa inflazione e riduzione della disoccupazione. Questi fattori hanno contribuito a migliorare le prospettive di guadagno per le aziende quotate in Borsa, alimentando la domanda di azioni.
3. Innovazione tecnologica e nascita di Internet. La metà degli anni ’90 ha segnato l’inizio dell’era di Internet, con aziende tecnologiche che iniziavano a dominare il mercato. Questo ha suscitato un grande entusiasmo tra gli investitori, spingendo al rialzo i prezzi delle azioni nel settore tecnologico e, per riflesso, dell’intero indice S&P 500.
4. Stabilità internazionale. Il periodo post-Guerra Fredda ha portato a una maggiore stabilità geopolitica e alla globalizzazione dei mercati finanziari. L’assenza di grandi shock geopolitici o crisi internazionali ha contribuito a un ambiente d’investimento relativamente stabile.
5. Flussi di capitale verso i mercati azionari. Con la crescente popolarità dei fondi comuni e altri veicoli di investimento collettivo, si è assistito a un afflusso di capitale verso i mercati azionari. Questo ha alimentato la domanda di azioni e contribuito all’impennata dei prezzi.
Cordiali saluti,
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Federico Polese
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